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All’indomani del primo sì alla delibera consiliare sul registro delle unioni civili, la presidente Emma Ciccarelli denuncia: «La famiglia non può essere “mischiata” con altre forme di convivenza.
(di Christian Giorgio)
Nei giorni scorsi ha avuto un’accelerata l’iter per l’istituzione del registro delle unioni civili. La delibera consiliare, proposta dal centrosinistra e dal Movimento 5 stelle, in particolare dai consiglieri Imma Battaglia (Sel), Riccardo Magi (Lista civica), Virginia Raggi (M5S) e Giulia Tempesta (Pd), Massimo Caprari (Centro democratico) e Svetlana Celli (Lista civica Marino), arriverà in Consiglio comunale per la votazione finale. Per Emma Ciccarelli, presidente del Forum delle associazioni familiari del Lazio, si tratta di «un’iniziativa propagandistica» che «cerca di indebolire la funzione del matrimonio».
Cosa succederà se la delibera verrà approvata in Consiglio?
Sul piano pratico non cambierà nulla, quello che posso prevedere sarà, invece, il grande clamore mediatico suscitato da questo argomento. In realtà questa delibera non avrà alcun effetto giuridico dato che la competenza sull’istituzione del registro delle unioni civili appartiene esclusivamente al legislatore nazionale, l’unico a poter intervenire in questo ambito. Ecco perché ci sembra più un’iniziativa propagandistica che di vera e propria politica al servizio del bene della città. Tutto questo è comunque indicativo di come si cerchi, in tutti modi, di indebolire la funzione del matrimonio all’interno della società civile da parte di un’istituzione pubblica.
All’articolo uno della proposta di iniziativa consiliare si parla, in particolare, del rapporto di reciproca assistenza morale e materiale tra due persone dello stesso sesso.
Si tratta di un enunciato molto vago e debole. Così com’è scritto l’articolo in questione, anche due persone che hanno difficoltà economiche e che hanno bisogno di ottenere delle erogazioni da parte della pubblica amministrazione potrebbero dichiarare di convivere e di essere legate da questo rapporto di reciproca assistenza. Noi del Forum delle associazioni familiari contestiamo questa situazione di disparità che si verrebbe a creare con le coppie sposate. Nel matrimonio è richiesta, infatti, una stabilità affettiva che è un impegno pubblico vero e proprio. Nel caso delle unioni civili il legame può essere anche transitorio e questo non può essere, per una pubblica amministrazione, un requisito di chiarezza che possa definire una relazione.
I firmatari dell’iniziativa consiliare chiamano in causa la Costituzione italiana per difendere la proposta di riconoscimento delle unioni civili. Dicono che la tutela dell’articolo due debba comprendere anche la famiglia di fatto.
La questione è molto più semplice. La legge già tutela le relazioni affettive diverse dal matrimonio: ci sono molteplici strumenti che permettono di farlo. Tramite il diritto privato si possono ottenere delle tutele e dei riconoscimenti non indifferenti. In realtà riteniamo che il caso in questione rappresenti una violazione importante di altri articoli della Costituzione a partire dal 29, che «riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». In questo caso si riconosce un legame della coppia che, sposandosi, prende un impegno pubblico nei confronti dello Stato. Questa assunzione di doveri non esiste nel registro delle unioni civili. Una società molto concentrata solo sui propri diritti non può avere attenzione all’altrui libertà.
A quali altre criticità potrebbe andare incontro l’espressione del “vincolo di natura affettiva” di cui si parla nella proposta di delibera?
Basterebbe tout court per richiedere l’iscrizione al registro senza prendere in considerazione, ad esempio, alcun requisito sui tempi di coabitazione. Il documento ha una struttura fragile dal punto di vista legislativo. Se consideriamo che per partecipare a un bando per accedere a erogazioni pubbliche è necessario rilasciare tutta una serie di garanzie, ci stupisce che sia la stessa pubblica amministrazione a non richiedere garanzie di requisito se non la mera coabitazione, per di più non certificata da alcun elemento di stabilità.
L’Amministrazione comunale provvederebbe a tutelare e sostenere le unioni «in diverse aree tematiche» come la casa, la sanità, l’infanzia, la genitorialità e la scuola. Cosa vorrebbe dire?
Vorrebbe dire che certi servizi, che non riescono già a soddisfare le esigenze minime della popolazione, verrebbero ulteriormente ripartiti su un numero maggiore di aventi diritto. Le coppie sposate, già adesso, si vedono superare nelle graduatorie pubbliche comunali nell’accesso agli asili nido, alla casa e quant’altro, da coppie in cui le conviventi dichiarano di essere ragazze madri o che dichiarano l’abitazione del padre in una diversa abitazione. Per cui le famiglie regolarmente sposate si sentono doppiamente beffate da questo tipo di provvedimenti che non tengono conto dell’impegno e del valore che deve avere il matrimonio nel rapporto tra Stato e famiglia.
Quali sono le azioni che metterete in campo nel caso la proposta si concretizzasse con la votazione favorevole in Consiglio comunale?
Le nostre non sono battaglie “contro”, sono legate alla ragionevolezza del diritto che, in questo caso, viene violentato dall’ideologia. Ci spiace solo che, a fare scivoloni del genere, sia il Comune di Roma che costringe la collettività in una serie di situazioni non gestibili e poco chiare. Il Forum continuerà a sostenere la bellezza e l’importante funzione del matrimonio sia come istituto che tutela la vita sia nella sua soggettiva funzione pubblica. La famiglia non può essere “mischiata” con altre forme di convivenza che non hanno le stesse caratteristiche, è un principio di diritto.
Se potesse mandare un messaggio al sindaco Marino, quale sarebbe?
Gli direi di ascoltare quello che il Forum ha da dire. Da sei mesi gli chiediamo un incontro ma non ci giungono risposte, nessuna motivazione di questa chiusura nei nostri confronti neanche dalla sua segreteria. La cosa ci lascia alquanto perplessi e stupiti. Siamo una fetta importante della popolazione romana. In città ci sono circa un milione e trecentomila famiglie, non ascoltarci è molto grave da parte di una amministrazione pubblica. Ci aspettiamo quindi una convocazione. Sarebbe un bel segnale. Anche perché sono tante le questioni che vorremmo sottoporre al sindaco Marino: da una migliore efficacia dei servizi pubblici a una maggiore attenzione al lavoro e all’armonizzazione tra i tempi del lavoro e quelli della famiglia. Penso infine alle difficili situazioni di molti padri separati che, in questo periodo, accalcano le mense della Caritas e i dormitori pubblici. Ci sono delle emergenze pressanti che interpellano il territorio e ci sbalordisce che la grande battaglia di Marino sia legata al registro delle unioni civili.